breon dogs work 300

di Breon O’Farrell

Tutti i cani possono essere addestrati a compiere un “lavoro”, e un lavoro da compiere è un bisogno di ogni cane. Proprio come per noi esseri umani. E come per noi, non tutti possono eccellere allo stesso tipo di lavoro ma ognuno ha i propri talenti. Così non tutti i cani possono avere le giuste qualità per compiere al meglio lo stesso tipo di lavoro, ma ogni cane ha sicuramente la capacita di provarci, di impegnarsi, di rispondere agli insegnamenti del proprio padrone, che assumendo il ruolo di leader e insegnando un lavoro al proprio cane, lo valorizza lo apprezza per i risultati che ottiene e costruisce un legame basato sull’amore.

Nel 2005 ho addestrato Trilli, la nostra labrador allora cucciola, a cercare e riportare le bottiglie di plastica abbandonate nel bosco mentre eravamo in passeggiata. Ogni mattina camminavo con lei e tornavo a casa con una busta piena. Dopo qualche mese, il bosco era ripulito e per continuare a occupare Trilli ho deciso di insegnarle a cercare, trovare e riportare i tartufi, allo stesso modo in cui le avevo insegnato a riportarmi i rifiuti di plastica. Cercare e trovare qualcosa è uno dei lavori più adatti a un cane perché gli permette di esprimere la sua curiosità naturale. Se poi l’oggetto cercato ha valore per noi, il lavoro e l’impegno assumono un valore più profondo. Un esempio è la ricerca delle persone scomparse, un lavoro di alto livello per un cane, ma che richiede un grande investimento personale ed economico, l’appartenenza a un’organizzazione, a un gruppo, una dose di capacità tecnologiche e la possibilità di avere molto tempo libero dal lavoro. Non è qualcosa che si può praticare ogni giorno, durante la passeggiata mattutina. Invece, per le persone che amano la compagnia del proprio cane, vivono a contatto con la natura e amano passeggiare, la ricerca del tartufo è il lavoro ideale da insegnare al proprio cane. Nella mia zona sono presenti tartufi e molte persone hanno un cane, ma si limitano a guardare gli altri che arrivano a cercare tartufi con i propri cani.

Per quanto mi riguarda, mi sono avventurato nel mondo della ricerca del tartufo applicando in questo ambito le stesse regole di apprendimento canino che avevo utilizzato per tanti anni. La più importante quella di creare una squadra a due con il proprio cane in una caccia al tesoro in cui essere umano e cane si avventurano assieme nella natura con un obiettivo comune, in questo caso più alla pari di quanto abbia mai considerato possibile. Per dirla tutta, nel bosco non siamo proprio alla pari del nostro cane. È lui che è in vantaggio e noi dobbiamo riconoscerglielo senza per questo perdere l’autorevolezza, la leadership, come in un rapporto famigliare. Solo il cane può trovare il tartufo sottoterra e per questo merita tutta la nostra fiducia, fino a prova contraria. Dobbiamo crederci fino in fondo, anche quando non abbiamo prove. È questo il senso di un vero lavoro di squadra: la capacità di comunicare e condividere per raggiungere un obiettivo comune. Non si tratta semplicemente di correre e saltare ostacoli, ballare o partecipare a una gara di bellezza. L’esperienza per il cane e il suo padrone è più simile a quella di salvare insieme un bambino perduto, nel senso di contribuire al benessere della famiglia, economico e spirituale. La ricerca insieme al proprio cane nel bosco permette di raggiungere la nostra natura materna, quella parte femminile che noi uomini abbiamo spesso paura di incontrare.

Grazie ai cani da tartufo ho anche avuto l’opportunità di sentirmi più vicino alla comunità dei miei “vicini di casa” umbri, persone con le quali per anni mi era stato difficile stabilire un qualche senso di intimità. Non perché le persone del luogo dove sono venuto a vivere non fossero amichevoli, tutt’altro. Gli umbri sono noti per la loro espressione stoica e un po’ sospettosa ma anche per la loro gentilezza e generosità, e lo riscontravo tutti i giorni. Ma da forestiero, sentivo di vivere una continua crisi identitaria, non potendo stabilire relazioni comunicando nella mia lingua madre. Mi sentivo privato della possibilità di esprimere l’essenza di me stesso, o almeno la persona che io conosco, il mio senso dell’umorismo, la mia sveltezza, il mio ritmo, la mia abilità di comprendere e anticipare le parole e le idee di chi mi parla. In un certo senso mi sono sentito spesso come un cane che vive in una società di umani che non comprendono la cultura canina. Ancora oggi il mio italiano non è fluido e non so se mai lo sarà. Ma il mio cuore continua a espandersi, le relazioni si fanno più profonde e l’affetto per le persone che ho incontrato e aiutato con i loro cani continua a dare senso alla mia vita.